The Exit to Santa Breta

La seconda opera da scrittore professionista di George Martin, una storia di fantasmi in un'ambientazione futuristica, ci mostra quanto sia difficile racchiudere un racconto in una classificazione di genere. In fondo, non si tratta sempre e comunque di “weird stuff”, roba strana?


Un piccolo manifesto letterario

Uscito sul numero di febbraio 1972 di Fantastic, The Exit to Santa Breta è il secondo racconto di George Martin ad essere stato pubblicato, esattamente un anno dopo The Hero.

Una seconda opera è sempre qualcosa di speciale per uno scrittore, è un momento di conferma delle proprie aspettative, il segnale che una passione può veramente diventare una professione. Come infatti lo stesso Martin ha avuto modo di affermare, "Your second time is almost as exciting as your first, in writing as in sex. One sale might be a fluke, but two sales to two different editors suggested that maybe I had some talent after all."

Per quanto possa trattarsi di poche pagine di racconto appena, analizzare The Exit to Santa Breta significa prima di ogni altra cosa comprendere la posizione di dell'autore rispetto alla letteratura di genere. Negli anni successivi Martin ha spesso dichiarato quanto le sue principali ispirazioni letterarie spaziassero dal fantasy, alla fantascienza, all'horror, di quanto gli riuscisse spontaneo passare da un genere all'altro senza che l'etichetta assegnata alla lettura del momento pregiudicasse in qualche modo il giudizio sull'opera, e di come la sua coscienza letteraria in via di formazione arrivasse quasi a rigettare l'idea che la letteratura di evasione dovesse necessariamente essere suddivisa in generi da trattare come compartimenti stagni. Ironicamente, Martin spesso ricorda come anche l'atteggiamento dispregiativo del padre verso simili letture, da lui indistintamente etichettate come "weird stuff", abbia contribuito alla maturazione di una simile posizione.

The Exit to Santa Breta è un racconto che ostinatamente si rifiuta di lasciarsi classificare, non perché faccia convivere al suo interno elementi appartenenti a generi diversi, ma perché nel suo complesso si posiziona in una sorta di zona grigia, e spesso la sua catalogazione dipende unicamente dalla sensibilità del lettore di turno.


DISCLAIMER: da questo momento si possono trovare spoiler anche significativi sull'opera.


Anche il futuro invecchia
The Exit to Santa Breta è ambientato in quello che negli anni '70 era da considerarsi un futuro relativamente prossimo, da alcuni elementi accennati nel racconto identificabile con il secondo decennio del XXI secolo: con questa scelta, George Martin si è esposto a quell'inevitabile bilancio che si tende a fare quando quel futuro diventa presente - o addirittura passato. L'autore ha effettivamente tratteggiato molto poco del futuro da lui immaginato, e solo in maniera funzionale alla narrazione del racconto: in particolare, apprendiamo dalle prime battute del testo che con l'invenzione del trasporto aereo personale le automobili sono diventate obsolete, e le strade, non più manutenute, sono sporadicamente percorse unicamente da appassionati e collezionisti.

Proprio uno di costoro è il protagonista della storia, narrata in prima persona nella forma di un lungo flashback rispetto al momento di chiusura. Questa scelta stilistica, declinata in una forma che per più di un aspetto ricorda la penna di H. P. Lovecraft, spiega anche la decisione di raccontare un futuro così ravvicinato: da un lato Martin fa leva su una sorta di "effetto nostalgia" del protagonista quando questi paragona il presente con la sua infanzia, e dall'altro può ricorrere alla memoria storica di uno dei personaggi più anziani per lo scioglimento dell'elemento di mistero che pervade il racconto.

Guardando a questo futuro ormai passato, non possiamo che sorridere per quello che pare non molto più di un goffo tentativo di indovinare la direzione imboccata dallo sviluppo tecnologico. Tuttavia non per questo si deve saltare alla conclusione che il racconto ne esce invecchiato male. Una previsione sbagliata non inficia la validità della storia - diversamente Jules Verne dovrebbe sparire dalla letteratura per ragazzi! - e anzi è una interessante testimonianza delle aspettative, talvolta azzeccate e talvolta no, di una generazione di scrittori e sognatori.

Livelli di consapevolezza: lettori e personaggi

Il racconto si apre durante uno dei viaggi automobilistici del protagonista che, a bordo della sua Jaguar, percorre un'autostrada ormai abbandonata da anni, in Arizona. Perso nei suoi pensieri - funzionali all'autore per contestualizzare l'azione descrivendo per sommi capi il background e lo scenario in cui i personaggi si trovano ad agire - il protagonista viene riportato improvvisamente alla realtà quando nota qualcosa di assurdo, qualcosa di anomalo rispetto al suo bagaglio di esperienze e rispetto al senso comune dell'ambientazione del racconto: l'autostrada è in condizioni perfette, l'asfalto ben levigato, l'illuminazione eccellente, ci sono persino i cartelloni pubblicitari... uno stato di conservazione così eccellente che il narratore si lascia persino andare a provare per un po' l'ebbrezza della velocità.

In quello che è stilisticamente il momento più delicato del racconto, Martin dimostra di saper gestire l'ambiguo legame che si instaura tra lettore e protagonista nella complessa cornice di un racconto narrato in prima persona. Lettore e personaggio hanno in genere background, esperienze e competenze differenti, e spesso il lettore, specialmente se appassionato di un certo genere o autore, sa destreggiarsi molto meglio del personaggio con gli indizi disseminati dallo scrittore. In questi casi all'autore spetta l'arduo compito di rendere credibili eventuali passaggi a vuoto dei suoi personaggi e di riuscire a mantenere la storia avvincente anche se il lettore è già più avanti rispetto ai personaggi.

Martin, in The Exit to Santa Breta, riesce pienamente nel compito di rendere credibile il protagonista nel suo iniziale tentativo di razionalizzare la situazione senza dover ricorrere a spiegazioni soprannaturali. Anche se il lettore più smaliziato in questo genere di storie già anticipa la piega che prenderanno gli eventi, non può rimproverare nessuna delle giustificazioni che il narratore tenta di darsi. Il climax crescente di questa fase del racconto è tutto interiore, una sorta di dialogo interno tra l'anima sensibile e quella razionale del protagonista: c'è un'autostrada tenuta particolarmente bene? Beh, come spendono i soldi da queste parti non è affar mio in fondo. Vedo davanti a me un'altra automobile? Sarà un altro appassionato. Si tratta di una Edsel, un modello rarissimo e pregiato? Beati loro. C'è un'intera famiglia a bordo e sta guidando un ragazzino?!? Che invidia che quel principiante possa guidare un simile gioiello! Non rispondono ai miei colpi di clacson di saluto? Che maleducati!

The kid driving the Edsel suddenly looked agitated. He turned in his seat and looked back over his shoulder, almost as if he was trying to get another look at the sign we had already left behind. And then, with no warning, the Edsel swerved into my lane.

La lenta salita della tensione trova il suo zenit nel momento cruciale, quando l'azione si sposta finalmente al mondo esterno e senza alcun preavviso la Edsel, dopo aver mancato l'uscita dell'autostrada per Santa Breta, tenta un'assurda inversione a U e finisce addosso all'auto del narratore, innescando un catastrofico incidente. Se il protagonista riesce ad uscire dal veicolo illeso, la sua macchina è gravemente danneggiata; la Edsel invece prende fuoco, e con lei i suoi occupanti.

La prima parte del racconto si chiude con il narratore che lascia a piedi l'autostrada alla ricerca di aiuto.

Show, don't tell!

Ad ogni sogno segue il risveglio, e quello del protagonista è una vera doccia fredda. Raggiunge intatti un bar; lì trova un poliziotto, a cui racconta dell'incidente - subendo il sarcasmo su come sia possibile che due automobili possano scontrarsi su un'autostrada abbandonata - e lo conduce poi sul luogo dell'accaduto. Eppure qualcosa è cambiato: i lampioni sono quasi tutti spenti, la strada sconnessa e piena di erbacce. Sempre più confuso, il narratore arriva alla sua macchina, solo per trovarla ferma sul ciglio della strada, intatta, mentre della Edsel non vi è alcuna traccia.

Redarguito aspramente dal poliziotto e invitato ad andarsene dalla zona, il protagonista decide invece di fare inversione e recarsi a Santa Breta. Anche in questa occasione, non si può che concordare con la scelta del narratore: l'accettazione dell'evento extra-ordinario è immediata e totale, ma il voltafaccia rispetto al precedente atteggiamento trova fondamento nella traumatica esperienza da poco vissuta. I dettagli disseminati da Martin, che letti durante il viaggio in auto del protagonista sembravano solo note di colore, assumono ruolo funzionale di contrasto rispetto al successivo sopralluogo a piedi e poi nel tragitto di ritorno a Santa Breta, escludendo che quell'esperienza possa essere ricondotta ad un'allucinazione, per quanto complessa e articolata. Non la si può liquidare, bisogna indagare.

E qui il castello costruito tanto faticosamente da Martin fino a questo momento va in pezzi.

Il protagonista porta la sua auto in una vicina officina per i dovuti controlli e decide di concedersi una notte di sonno. Poi, senza alcuno sforzo, in maniera quasi didascalica, riceve tutte le spiegazioni di cui ha bisogno: è l'anziano proprietario del garage a raccontare all'attonito narratore la storia della Edsel bianca e del suo tragico incidente di quarant'anni prima, e di come nel corso del tempo, quando le condizioni del disastro si ripresentavano, la Edsel tornasse su quell'autostrada e per rimettere in scena quella tragedia, ancora, ancora e ancora.

Tutto così logicamente perfetto: l'arzillo ottantenne ha l'età per ricordare tanto l'incidente originale quanto le successive apparizioni della Edsel, e la progressiva sparizione delle automobili spiega perfettamente perché tali fenomeni siano sempre più rari e la storia sia quindi ignota a personaggi più giovani. Martin riesce a trovare una spiegazione logica persino per la collocazione dei fantasmi: se quelli medievali infestavano i castelli o i campi di battaglia dove avevano avuto le loro morti violente, perché un fantasma del ventesimo secolo non avrebbe dovuto dimorare lungo un'autostrada?

Tutto così logicamente perfetto, tutto così insoddisfacente. Che resta del mistero, una volta che è stato disvelato in un modo così chirurgico? Che resta del brivido? Solo un curioso fenomeno, certo fuori dalle leggi di natura, ma ormai ben collocato all'interno della sua cornice. Il suo fascino è compromesso. L'anziano meccanico presenta la storia della Edsel come una semplice ipotesi, ma con la forza narrativa di una certezza, e tanto basta.

"And that's what happened to the Edsel, I think. They missed their exit, and now they can't find it. They've got to keep going. Forever." He sighed.

Il lirismo dello scrittore di Bayonne raddrizza la barra del racconto nel finale, il momento del commiato da quell'esperienza. Niente stravolgimenti dei canoni qui, ma una scena da cliché raccontata con la giusta profondità, rendendo giustizia alla forza emozionale di quanto il narratore sta vivendo e che non riesce, non può articolare nemmeno a livello di pensiero. Domato l'elemento di mistero/terrore, emerge prepotente il desiderio di un'impossibile replica, di comunicare oltre un abisso che travalica la vita stessa, di rendere un ultimo omaggio a chi ha allargato i confini del nostro mondo. E il racconto si spegne così con l'eco di un sibilo, che sì, probabilmente è solo quello di un camion volante in lontananza, ma che nel cuore del narratore - e anche in quello del lettore - non può che essere il richiamo di una Edsel bianca, perduta per sempre tra le uscite dell'autostrada.

Conclusioni

The Exit to Santa Breta non passerà alla storia come l'opera migliore di George Martin. Le spiegazioni così precise, così puntuali, così circostanziate su quella che dovrebbe essere un'esperienza sovrannaturale - e che fino a al momento dello scioglimento poteva ancora essere benissimo essere declinata in qualsiasi direzione, da quella mistica a quella orrorifica - ne tolgono irrimediabilmente il fascino. Un eccesso di spiegazioni può essere un tradimento verso il lettore quasi quanto la loro assenza: uno degli scopi della letteratura di evasione, qualche che ne sia il genere preciso, è proprio quello di far sognare, e i sogni sono fatti di accenni e di possibilità da esplorare, non di elenchi e didascalie.

Nonostante ciò, The Exit to Santa Breta è un racconto stilisticamente pregevole, e una tappa fondamentale nel percorso di crescita di Martin. Qui l'autore dimostra di saper già padroneggiare i principi di differenti generi letterari in modo da mescolarli e amalgamarli in modo efficace. Le fasi dell'arco narrativo sono ben delineate e fluiscono l'una nell'altra in maniera solida, e l'uso della prima persona non fa che incrementare il senso di empatia e coinvolgimento. Persino la debolezza del racconto diventerà un punto di forza dell'autore: da lì a un anno Martin scriverà un racconto la cui tematica è esattamente l'argomentazione critica che abbassa il livello di quest'opera... ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta.


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